Affitto: legittima la Clausola che stabilisce l’ Obbligo di Rimborso degli Oneri fiscali in capo al Conduttore

16 maggio 2019
Un indirizzo giurisprudenziale consolidato da anni aveva ritenuto che fosse nulla la clausola che, nel contratto d' affitto, lasciasse a carico del conduttore gli oneri fiscali. Con l' interessante sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione hanno rivisto questa posizione ritenendo valida la previsione che stabilisca che, pur rimanendo l' onere in capo al proprietario, la spesa deve essere rimborsata dall' inquilino.
Contratto di Affitto: legittima la clausola che stabilisce l’ obbligo di rimborso degli oneri fiscali in capo al conduttore
Con una recente sentenza le Sezioni  Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito la validità della clausola che, nel contratto di locazione, trasferisca al conduttore il pagamento di “ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore” (I.C.I, poi I.M.U., nel caso esaminato). E’ opportuno commentare, se pur brevemente, questa importante pronuncia, perché le parti, in sede di contrattazione, dovranno, d’ ora in poi, tenere ben presente la distinzione, tracciata dagli Ermellini, fra la clausola valida e quella nulla.
Il ragionamento della Suprema Corte prende le mosse dall’ esame dell’ art. 53 della Costituzione, che prevede che l’ imposizione fiscale debba avere caratteristiche di equità e di progressività e da due precedenti delle stesse Sezioni Unite, risalenti ad oltre 30 anni fa (n. 5/85 e 6.445/85). Queste ultime avevano stabilito l’ intrasferibilità per contratto degli oneri fiscali (e la nullità dei relativi accordi per contrarietà al precetto costituzionale). Sulla base di questi precedenti l’ inquilino riteneva la nullità dell’ accordo che gli addossava gli oneri contributivi. Commentando i propri precedenti la Cassazione osserva, tuttavia, che “oggetto della clausola in argomento sono non già [come nei casi esaminati nell’ ’85 n.d.r.] le imposte dirette gravanti sulla locatrice, bensì meramente quelle gravanti sull'immobile e inerenti allo stipulato contratto”.
Data questa premessa, al fine di distinguere se la clausola violi o meno il precetto costituzionale occorre verificare (secondo la Cassazione) se la stessa esoneri semplicemente il proprietario dal peso dell’ imposta, trasferito sul conduttore, ovvero se (come nel caso esaminato) conceda semplicemente al primo una manleva nei confronti del secondo, pari all’ esatto importo del tributo di cui il proprietario è tenuto a rispondere. 
Nel primo caso (che ricorre, come detto, quando la clausola stabilisca che la parte locatrice è del tutto esonerata dal pagamento, che invece viene trasferito sul locatario) la clausola dovrà intendersi nulla. Nel secondo caso (ovvero quando venga stabilito che il proprietario è comunque tenuto al pagamento, avendo poi azione di manleva nei confronti dell’ inquilino per le somme saldate al fisco) deve prevalere l’ autonomia contrattuale nella fissazione del canone della locazione (che la legge lascia alla libertà delle parti). 
Da una lettura complessiva del contratto (imposta dall’ art. 1363 c.c.) la corte territoriale riteneva che le parti  avessero inteso "determinare il canone in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell'art. 4", e l'altra "come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata (art. 7.2)”. Il proprietario procedeva al pagamento, e poi fatturava un importo pari a quanto corrisposto all’ erario alla parte conduttrice oltre all’ ulteriore importo pattuita quale canone: la somma dei due importi deve essere intesa quale corrispettivo complessivo per la locazione dell’ immobile.  
Secondo le Sezioni Unite un simile accordo rientra esattamente nella seconda delle due ipotesi considerate, con conseguente liceità ed ammissibilità della clausola.
Con una recente sentenza le Sezioni  Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito la validità della clausola che, nel contratto di locazione, trasferisca al conduttore il pagamento di “ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore” (I.C.I, poi I.M.U., nel caso esaminato). E’ opportuno commentare, se pur brevemente, questa importante pronuncia, perché le parti, in sede di contrattazione, dovranno, d’ ora in poi, tenere ben presente la distinzione, tracciata dagli Ermellini, fra la clausola valida e quella nulla.

Il ragionamento della Suprema Corte prende le mosse dall’ esame dell’ art. 53 della Costituzione, che prevede che l’ imposizione fiscale debba avere caratteristiche di equità e di progressività e da due precedenti delle stesse Sezioni Unite, risalenti ad oltre 30 anni fa (n. 5/85 e 6.445/85). Queste ultime avevano stabilito l’ intrasferibilità per contratto degli oneri fiscali (e la nullità dei relativi accordi per contrarietà al precetto costituzionale). Sulla base di questi precedenti l’ inquilino riteneva la nullità dell’ accordo che gli addossava gli oneri contributivi. Commentando i propri precedenti la Cassazione osserva, tuttavia, che “oggetto della clausola in argomento sono non già [come nei casi esaminati nell’ ’85 n.d.r.] le imposte dirette gravanti sulla locatrice, bensì meramente quelle gravanti sull'immobile e inerenti allo stipulato contratto”.

Data questa premessa, al fine di distinguere se la clausola violi o meno il precetto costituzionale occorre verificare (secondo la Cassazione) se la stessa esoneri semplicemente il proprietario dal peso dell’ imposta, trasferito sul conduttore, ovvero se (come nel caso esaminato) conceda semplicemente al primo una manleva nei confronti del secondo, pari all’ esatto importo del tributo di cui il proprietario è tenuto a rispondere. Nel primo caso (che ricorre, come detto, quando la clausola stabilisca che la parte locatrice è del tutto esonerata dal pagamento, che invece viene trasferito sul locatario) la clausola dovrà intendersi nulla. Nel secondo caso (ovvero quando venga stabilito che il proprietario è comunque tenuto al pagamento, avendo poi azione di manleva nei confronti dell’ inquilino per le somme saldate al fisco) deve prevalere l’ autonomia contrattuale nella fissazione del canone della locazione (che la legge lascia alla libertà delle parti). 

Da una lettura complessiva del contratto (imposta dall’ art. 1363 c.c.) la corte territoriale riteneva che le parti  avessero inteso "determinare il canone in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell'art. 4", e l'altra "come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata (art. 7.2)”. Il proprietario procedeva al pagamento, e poi fatturava un importo pari a quanto corrisposto all’ erario alla parte conduttrice oltre all’ ulteriore importo pattuita quale canone: la somma dei due importi deve essere intesa quale corrispettivo complessivo per la locazione dell’ immobile.  Secondo le Sezioni Unite un simile accordo rientra esattamente nella seconda delle due ipotesi considerate, con conseguente liceità ed ammissibilità della clausola.
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