Assegno di Divorzio: le Sezioni Unite della Cassazione ridefiniscono Diritti e Doveri degli ex Coniugi

18 ottobre 2018
Negli ultimi 30 anni la giurisprudenza della Cassazione ha affermato che al coniuge più debole spettasse un assegno divorzile tale da consentirgli di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Poi nel 2017 una sentenza sembrava aver cambiato tutto, restringendo la platea degli aventi diritto ai soli soggetti in grado di dimostrare di non avere e non potere avere una autosufficienza economica. Intervengono le Sezioni Unite riequilibrando diritti e doveri.
In principio era il “tenore di vita”. Si era nel 1990 e, interpretando l’ art.. 5, Legge 898/70 dopo le modifiche introdotte con la Legge n. 74 del 1987,  le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 29 novembre 1990, n. 11.490) stabilirono quale dovesse essere  il presupposto per il riconoscimento del l’assegno divorzile, che venne individuato nella conservazione, per il coniuge economicamente più svantaggiato, di “un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio”. Orientamento rimasto immutato per quasi 30 anni, ma azzerato l’ anno scorso dalla “rivoluzionaria” sentenza 10 maggio 2017, n. 11504 la quale riteneva il criterio della conservazione del tenore di vita precedente non più rispondente al comune sentire socio economico, ed, in particolare, alla libertà delle scelte esistenziali della persona”.. Con la sentenza di divorzio (scriveva la prima sezione della Cassazione nel 2017) “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. “Se si è accertato che l’ex coniuge è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo – si legge nella decisine della Cassazione – non deve essergli riconosciuto il diritto» all’assegno di divorzio. I criteri per valutare l’indipendenza economica della richiedente – o del richiedente – attengono al “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare”, alle “capacità e possibilità effettive” di lavoro e alla “stabile disponibilità” di un’abitazione. Nella sostanza mentre l’ orientamento precedente riconosceva dovuto l’ assegno a qualunque ex coniuge avesse subito una diminuzione del tenore di vita in seguito alla separazione, la nuova sentenza restringeva la platea degli aventi diritto a quelli in grado di dimostrare di non essere in possesso di mezzi di sostentamento (reali o potenziali). 
Con il nuovo intervento delle Sezioni Unite (sentenza 11 luglio 2018 n. 18.287) la Cassazione riequilibra i rapporti patrimoniali fra ex coniugi, storicamente favorevoli alla parte “debole” poi improvvisamente sbilanciati a favore della parte “forte” nel 2017. 
Secondo il nuovo orientamento il diritto all'assegno di divorzio non dipende più soltanto dalla mancanza di autosufficienza economica in chi lo richiede (come stabilito dalla giurisprudenza più recente) o, come voleva la costante giurisprudenza pregressa, dall'esigenza di consentire al coniuge privo di "mezzi adeguati" il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Nella nuova prospettazione il Giudice deve esaminare la “storia” dei rapporti economici fra le parti nel contesto della vita matrimoniale, così che l'assegno diventa uno strumento che, adempiendo a una funzione compensativa, consente al coniuge più debole di ricevere quanto ”ha dato” durante il matrimonio. Superato sia il modello secondo cui dovrebbe essere restituito semplicemente all’ ex coniuge il precedente tenore di vita, sia quello, più restrittivo, basato sulla semplice verifica dell’ indipendenza economica reale o potenziale, la Cassazione richiama il modello costituzionale del matrimonio fondato sui principi di eguaglianza e di pari dignità fra i coniugi, utilizzato, oltre che per disciplinare il rapporto fra i coniugi in costanza di matrimonio, anche per definire gli effetti patrimoniali conseguenti allo scioglimento dell’ unione, in attuazione del principio di solidarietà che trova il proprio fondamento nell'esigenza di salvaguardare la pari dignità fra i coniugi, un valore che rimane attuale anche con la dissoluzione del loro matrimonio. Il giudice dovrà quindi "tenere conto", oltre che delle condizioni economiche dei coniugi, anche del "contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune", una valutazione che dà all'assegno una marcata funzione compensativa. Si apre così una fase in cui saranno le parti, ed i loro difensori (il cui ruolo diventa ancora più importante), a dover dimostrare, prove alla mano, le ragioni che hanno determinato la sperequazione che si intende eliminare con l'attribuzione dell'assegno postmatrimoniale.
Una decisione, in conclusione, che rimuove ogni automatismo foriero di possibili ingiustizie, fornendo gli strumenti per giungere ad una giustizia sostanziale rispettosa sia della libertà dell’ individuo dopo la cessazione del rapporto, sia della retribuzione economico sociale spettante al coniuge che più ha contribuito all’ economia del rapporto prima della sua cessazione.  

In principio era il “tenore di vita”. Si era nel 1990 e, interpretando l’ art.. 5, Legge 898/70 dopo le modifiche introdotte con la Legge n. 74 del 1987,  le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 29 novembre 1990, n. 11.490) stabilirono quale dovesse essere  il presupposto per il riconoscimento del l’assegno divorzile, che venne individuato nella conservazione, per il coniuge economicamente più svantaggiato, di “un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio”. Orientamento rimasto immutato per quasi 30 anni, ma azzerato l’ anno scorso dalla “rivoluzionaria” sentenza 10 maggio 2017, n. 11504 la quale riteneva il criterio della conservazione del tenore di vita precedente non più rispondente al comune sentire socio economico, ed, in particolare, alla libertà delle scelte esistenziali della persona”.. Con la sentenza di divorzio (scriveva la prima sezione della Cassazione nel 2017) “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. “Se si è accertato che l’ex coniuge è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo – si legge nella decisine della Cassazione – non deve essergli riconosciuto il diritto» all’assegno di divorzio. I criteri per valutare l’indipendenza economica della richiedente – o del richiedente – attengono al “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare”, alle “capacità e possibilità effettive” di lavoro e alla “stabile disponibilità” di un’abitazione. Nella sostanza mentre l’ orientamento precedente riconosceva dovuto l’ assegno a qualunque ex coniuge avesse subito una diminuzione del tenore di vita in seguito alla separazione, la nuova sentenza restringeva la platea degli aventi diritto a quelli in grado di dimostrare di non essere in possesso di mezzi di sostentamento (reali o potenziali). 

Con il nuovo intervento delle Sezioni Unite (sentenza 11 luglio 2018 n. 18.287) la Cassazione riequilibra i rapporti patrimoniali fra ex coniugi, storicamente favorevoli alla parte “debole” poi improvvisamente sbilanciati a favore della parte “forte” nel 2017. Secondo il nuovo orientamento il diritto all'assegno di divorzio non dipende più soltanto dalla mancanza di autosufficienza economica in chi lo richiede (come stabilito dalla giurisprudenza più recente) o, come voleva la costante giurisprudenza pregressa, dall'esigenza di consentire al coniuge privo di "mezzi adeguati" il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Nella nuova prospettazione il Giudice deve esaminare la “storia” dei rapporti economici fra le parti nel contesto della vita matrimoniale, così che l'assegno diventa uno strumento che, adempiendo a una funzione compensativa, consente al coniuge più debole di ricevere quanto ”ha dato” durante il matrimonio. Superato sia il modello secondo cui dovrebbe essere restituito semplicemente all’ ex coniuge il precedente tenore di vita, sia quello, più restrittivo, basato sulla semplice verifica dell’ indipendenza economica reale o potenziale, la Cassazione richiama il modello costituzionale del matrimonio fondato sui principi di eguaglianza e di pari dignità fra i coniugi, utilizzato, oltre che per disciplinare il rapporto fra i coniugi in costanza di matrimonio, anche per definire gli effetti patrimoniali conseguenti allo scioglimento dell’ unione, in attuazione del principio di solidarietà che trova il proprio fondamento nell'esigenza di salvaguardare la pari dignità fra i coniugi, un valore che rimane attuale anche con la dissoluzione del loro matrimonio. Il giudice dovrà quindi "tenere conto", oltre che delle condizioni economiche dei coniugi, anche del "contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune", una valutazione che dà all'assegno una marcata funzione compensativa. Si apre così una fase in cui saranno le parti, ed i loro difensori (il cui ruolo diventa ancora più importante), a dover dimostrare, prove alla mano, le ragioni che hanno determinato la sperequazione che si intende eliminare con l'attribuzione dell'assegno postmatrimoniale.Una decisione, in conclusione, che rimuove ogni automatismo foriero di possibili ingiustizie, fornendo gli strumenti per giungere ad una giustizia sostanziale rispettosa sia della libertà dell’ individuo dopo la cessazione del rapporto, sia della retribuzione economico sociale spettante al coniuge che più ha contribuito all’ economia del rapporto prima della sua cessazione.  

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