Come affrontare una Controversia di responsabilità medico sanitaria

12 settembre 2018
Sulla carta la Legge è favorevole al danneggiato. Ma le agevolazioni normative e giurisprudenziali controbilanciano solo in parte la posizione di vantaggio della struttura ospedaliera, che è prima di tutto economica. Una collaborazione leale e professionale offerta dal patrocinatore e dal medico legale sono indispensabili a consentire alla vittima di esercitare in maniera consapevole i propri diritti.

La recente legge Gelli Bianco (L. 8 marzo 2017 n. 24), nel confermare (art. 7) la natura contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera ha, di fatto, convalidato il precedente orientamento della Cassazione relativo all’ onere della prova (Sez. Unite sent. 11 gennaio 2008, n. 577). Si tratta di una disciplina probatoria particolarmente favorevole alla vittima, a cui viene richiesto solamente di  descrivere il fatto dannoso e le sue conseguenze (quindi, non necessariamente il nesso causale fra fatto e danno, che dovrà essere escluso dalla struttura attraverso la prova di un evento imprevisto ed imprevedibile o di una condizione fisica del paziente precedentemente non accertata e non accertabile, pena il risarcimento del danno arrecato).

Bisogna però tenere conto del fatto che sebbene in teoria la norma sia favorevole al danneggiato, nella pratica le cose stanno molto diversamente. Prima di tutto perché non si può affrontare una causa alla leggera, contando solo sulla presunzione di responsabilità della struttura e sperando che la controparte non riesca a liberarsene: in fin dei conti la struttura potrebbe riuscire a fornire questa prova, e le conseguenze (in termini di delusione e di danno economico) sarebbero inaccettabili. E’ quindi comunque necessario, per il danneggiato, farsi da subito un’ idea ben precisa di come siano andate veramente le cose, al fine di evitare amare sorprese in corso di causa.

In secondo luogo perché le strutture sanitarie oppongono spesso una resistenza passiva ostinata, rifiutando di gestire la richiesta risarcitoria o respingendola sulla base di argomentazioni pretestuose o infondate, costringendo il danneggiato a dover scegliere fra l’ abbandono della richiesta e la causa.

Sin dall’ inizio, quindi, si deve stabilire un rapporto di stretta collaborazione fra cliente / danneggiato, professionista e medico legale. In particolare i professionisti devono collaborare in modo leale con l’ assistito, che gli si affida portando il proprio carico di dolore e di attesa, individuando un percorso che consenta di “far quadrare” il rapporto fra impegno economico richiesto e risultato utile sperato.

Ove, ad esempio, si fosse di fronte ad un caso risarcitorio palesemente infondato, ovvero ad una responsabilità reale, ma tale da aver prodotto un danno futile o di poco conto, i professionisti dovranno lealmente darne pronta comunicazione al proprio assistito sconsigliando ulteriori iniziative. Viceversa in caso di danni palesemente ingenti e con tutta apparenza derivati da macroscopici errori sanitari, si potrà consigliare al cliente di affrontare ulteriori passaggi, come l’ esecuzione di accertamenti, la raccolta di altre prove, e soprattutto la richiesta di una consulenza fornita da specialista titolato ed esperto che possa confortare o smentire l’ ipotesi di responsabilità sul tavolo.

Ovviamente esistono diversi casi intermedi fra questi due estremi. In particolare un punto delicato riguarda le responsabilità per i danni permanenti di entità non irrisoria ma nemmeno non grave, che, a far data dalla entrata in vigore della L. 13 settembre 2012, n. 158, vengono risarciti sulla base delle “tabelline” di cui all’ art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private. Si tratta di importi molto più bassi di quelli liquidati dalla Tabella Milanese, assurta ormai a parametro nazionale dopo la sentenza Cass. Civ. 7 giugno 2011 n. 12.408.

 Quando il danno rientra presumibilmente nell’ ambito di applicazione della “tabellina”, i professionisti  (patrocinatore e medico legale) dovranno consentire al cliente di farsi un’ idea per lo meno indicativa del risultato utile sperabile e della possibilità di ottenerlo, e rendere trasparenti da subito i costi che si dovrebbero sostenere per una possibile (ed anzi statisticamente probabile) azione giudiziaria.

Questa “quadratura del cerchio” non può obbedire ad una regola generale ma dovrà di volta in volta essere individuata, tenendo conto anche delle disponibilità e dell’ atteggiamento del  cliente / danneggiato e del tipo di assistenza che i patrocinatori intendono fornirgli (che può variare molto a secondo del tipo di patrocinio di cui il danneggiato ha deciso di valersi ed alle condizioni di assistenza che vengono offerte). In tutti i casi, però, l’ assistenza deve essere sempre caratterizzata trasparenza da parte del patrocinatore e disponibilità all’ ascolto da parte del danneggiato. Un rapporto, in definitiva, che possa  consentire alla vittima di intraprendere il proprio percorso risarcitorio in maniera informata e consapevole.

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